Nel 2020 siamo stati colpiti da una pandemia mondiale. Un evento epocale, che resterà nella storia. È una malattia che non ha messo a rischio solo la vita umana, ma ha minato le fondamenta del sistema sociale ed economico contemporaneo, evidenziandone tutte le falle. Riversare ogni relazione, ogni manifestazione culturale, ogni linguaggio artistico sui social media, porta a tracciare la distanza che separa gli individui, privati dell’esperienza cognitiva e relazionale, che è fondamento della formazione individuale nonché collettiva. La chiusura dei musei, dei teatri, dei cinema, ha creato un vuoto segnando distanze infinite. Alcune gallerie e spazi privati hanno continuato, nel rispetto delle normative, a proporre mostre ed eventi, scendendo a patto con le limitazioni, che inevitabilmente hanno compromesso quell’importante funzione di confronto e critica intrinseca all’arte. Uno spazio che non si può obliterare, nonostante tutto, è la strada.

Seppur chiusa al passaggio, il suo spazio è libero dall’ingombro fisico e mentale. È una via verso il divenire. È possibilità. In Sardegna alcune opere hanno riempito lo spazio vuoto e sospeso di questo 2020 pandemico. Potevamo vedere gli street artist all’opera, anche in presenza, grazie alle ristrette finestre temporali che ce lo hanno permesso, potevamo seguirli sui social, senza la stessa soddisfazione, potevamo e possiamo, in solitaria e senza assembramenti, godere delle opere nello spazio aperto delle opportunità.

Il 2020 è in queste opere, dove si oltrepassa il confine della contingenza e si salta verso un nuovo tempo.

Ivana Salis

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Associazione Asteras, murales "Muri di Sardegna" - Skan, Iglesias
Associazione Asteras "Muri di Sardegna", Casu, Silius

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