Ogni anno all’approssimarsi delle feste natalizie la città, come tante in Italia e nel mondo, si riveste di ghirlande e di nastri luminosi che, con chiasso e senza criterio, addobbano le vie principali del centro storico e commerciale.
Anche nel 2020, anno pandemico carico di mestizia, il sipario si riapre. Il pensiero dei morti, dei malati, della sofferenza, della povertà, non impedisce di celebrare la festa. È nato il bambinello, finisce un anno, arriva la befana: stare, una volta almeno, in silenzioso raccoglimento senza scartare regali e mangiare in continuazione, sembra impossibile.

Ecco perciò le luci a intermittenza persino sui campanili e sulle facciate delle chiese. Alberi di Natale, a forma di coni luminosi con stella in cima, crescono in piazza Garibaldi e in piazza Yenne, qui persino accompagnati da due squallide stelle pelose. E, se dalla piazza Yenne aperta sul Largo Carlo Felice decidiamo di svoltare verso la via Manno, per risalire in piazza Costituzione, al bastione di Saint Remy e poi riscendere verso la via Garibaldi e magari raggiungere via Paoli e piazza Galilei, troviamo delle altre piacevoli sorprese. Sopra discutibili piedistalli in ferro tronco piramidali, sono spuntati (approfittando del nostro confinamento pandemico a singhiozzo) frutti in acciaio, bronzo e resine policrome. Dalle dimensioni medie e grandi. Nell’ordine: un limone, salendo a destra una pera, un grappolo d’uva, una ghianda, poi (tutti in acciaio riflettente) una mela, ancora una pera e una melagrana. Arrivati di fronte al Bastione un grande peperoncino rosso, padre di un altro minore giallo più in basso e di un secondo azzurro in piazza Costituzione. Sulle prime pensiamo che sia passato da queste parti un Babbo Natale col sacco cromato, pieno di chincaglierie.

Allora proseguiamo e, nello slargo a metà della via Garibaldi, ci salutano dai loro supporti ruggine tre componenti eretti della famiglia peperona, per chiudere infine all’incrocio sulla via Alghero con altri tre esemplari piccanti e policromi (verde, azzurro, giallo) allineati come gioiellini in una grande vetrina urbana. Sono in tutto 16 gli esemplari così distribuiti. L’autore è lo stesso che realizzò qualche anno fa un grande peperoncino rosso sulla terrazza della sede centrale del Banco di Sardegna, in viale Bonaria. Oggi produce e sparge i suoi frutti ovunque nel mondo.

E dunque? Il Natale, la città, l’arte… e la solidarietà, recita un cartiglio ai piedi di un supporto. Il Comune che ha autorizzato le installazioni (visto che I Lions e gli amici per Cagliari, cioè un ente privato, hanno curato e sostenuto l’evento) è dell’opinione che questa sia una operazione culturale? O un intervento di arte urbana? O che altro? 

Il risultato di questa mostra frutticola metallica, sorta di giocoleria multicolore, raggiunge le vette del cattivo genere e del kitsch su scala urbana ed è una offesa al decoro stesso della città.

Pure così sarà, se tra qualche giorno a queste operette se ne sostituissero delle altre sugli stessi tristissimi supporti. Però non basta. A qualche passo da piazza Garibaldi, e cioè al centro della piazza Galilei, ecco un altro esempio di intervento distruttivo. Interprete non un cosiddetto artista, ma un ingegnere creativo (così sta scritto nelle news) che si esercita non con i calcoli (che gli sarebbero propri) ma con l’arte (che non gli si addice). Il risultato è un ammasso di centinaia di bottigliette di plastica azzurre piene d’acqua gettate a riempire la ex fontana, che in un tempo lontano conteneva vera acqua e in un tempo più vicino più che altro era ricettacolo di immondezze e cartacce. Ci imbarazza persino fotografare, perché fa un poco ribrezzo, e il disgusto aumenta quando scorgiamo che al centro dell’opera emerge una Natività in metallo fuori scala, che brilla nella sua miseria. E ci pare un insulto a quello stesso bambinello già citato, nel nome del quale si addobbano di luminarie le città.

Anche questa è riqualificazione urbana? Piuttosto scarto, intruglio, segno di confusione e assenza di cultura dell’ambiente. La fontana secca con i rifiuti era più espressiva: per lo meno realistica e disarmante.

Non interessano, qui, i protagonisti le persone gli attori. I siti e i giornali li individuano e ne parlano. Ci interessa il metodo, obliquo e inconcludente, che una Amministrazione adopera per imporre visioni e temi alla comunità.  La città non è una galleria privata, dove il gallerista propone e vende ad altri privati opere scelte a sua discrezione. È un luogo pubblico dove in funzione del cittadino si esercita un’etica e una tutela visiva nelle quali ognuno dovrebbe riconoscersi. E il cittadino andrebbe rispettato nella sua entità pensante, autonoma, ricettiva e libera.

Disturbati e offesi da queste manifestazioni di medriocrità, ci dirigiamo verso la via Roma, dove restano salde ad ammonirci le sculture di Costantino Nivola, ai piedi del Palazzo del Consiglio Regionale.

Elisabetta Borghi

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Associazione Asteras, murales "Muri di Sardegna" - Skan, Iglesias
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